La società ricorre giudizialmente nei confronti del dipendente al fine di recuperare le somme indebitamente erogate, per il periodo luglio 2009-dicembre 2015, a titolo di permessi retribuiti ex art. 33 L. 104/1992.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, sul presupposto che il lavoratore non aveva fornito la prova della sussistenza del diritto alla fruizione dei permessi, avendo ricevuto – a seguito della sua domanda amministrativa – solo una autorizzazione temporanea da parte dell’INPS.
La sentenza
La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva che il diritto alla fruizione dei permessi retribuiti ex legge 104/1992 sorge a seguito della presentazione della domanda amministrativa e a fronte della verifica, da parte dell’INPS, della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge.
Per la sentenza, una volta accertato il diritto, la prestazione si intende riconosciuta sino a quando sopravvengano modificazioni tali da far venire meno i requisiti costitutivi, dal momento che l’ente previdenziale non ha alcuna facoltà di apporre un termine alla titolarità del diritto.
Secondo i Giudici di legittimità, unico potere che hanno l’INPS ed il datore di lavoro è quello di verificare in via ordinaria la persistenza delle condizioni per il godimento del diritto.
Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dal dipendente, ritenendo non dovute le somme chieste dalla società datrice a ripetizione delle erogazioni inerenti ai permessi.