Con l’ordinanza n. 10679 del 19.04.2024, la Cassazione afferma che è nullo, per indeterminatezza e indeterminabilità del corrispettivo, il patto di non concorrenza che lega la sua efficacia al mancato esercizio da parte del datore di un potere insindacabile, quali lo ius variandi delle mansioni.
Il fatto affrontato
La banca datrice ricorre giudizialmente per ottenere la condanna dell’ex dipendente al risarcimento del danno per violazione del patto di non concorrenza, nonché per violazione dell’obbligo di fedeltà.
A fondamento della predetta domanda, deduce che – a seguito delle dimissioni – aveva svolto mansioni analoghe alle precedenti in favore di una competior nell’ambito dello stesso territorio.
La Corte d’Appello rigetta la domanda proposta dalla società datrice, ritenendo nullo il patto di non concorrenza per indeterminatezza del compenso, atteso che, pur stabilito in misura fissa (euro 5.000,00 per tre anni), lo stesso risulta inficiato dalla clausola del contratto, secondo cui nel caso di mutamento di mansioni la società avrebbe cessato di corrispondere il compenso e le obbligazioni derivanti dal patto di sarebbero cessate decorsi dodici mesi dall’assegnazione alle nuove mansioni.
L’ordinanza
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva che l’indeterminatezza del compenso inserito in un patto di non concorrenza, a causa di una clausola contrattuale che lega la sua efficacia alla sola ipotesi di assenza del cambio di mansioni, rende nullo tutto il patto.
Invero, continua la sentenza, il diritto al compenso non può restare esposto all’unilaterale esercizio dello ius variandi da parte del datore.
Secondo i Giudici di legittimità, in presenza di detta circostanza il compenso risulterebbe indeterminabile ex ante ed il patto sarebbe irrimediabilmente inficiato.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società e conferma l’illegittimità del patto di non concorrenza sottoscritto con l’ex dipendente.