Con la sentenza n. 11731 del 02.05.2024, la Cassazione afferma che costituisce una discriminazione indiretta l’applicazione del comporto ordinario al dipendente portatore di handicap, stante la necessità di considerare il maggior rischio di morbilità legato proprio alla disabilità.
Il fatto affrontato
Il lavoratore, portatore di handicap in quanto affetto da una doppia neoplasia cronica, impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per superamento del periodo di comporto.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, ritenendo integrata una discriminazione indiretta nei confronti del lavoratore, stante che il CCNL, in materia di comporto, prevedeva un arco temporale unico e indifferenziato anche per i periodi di malattia imputabili alla disabilità.
La sentenza
La Cassazione – confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello – rileva, preliminarmente, che il comporto rappresenta un punto di equilibrio fra l’interesse del lavoratore a disporre di un congruo periodo di assenze per ristabilirsi a seguito di malattia o infortunio e quello del datore di non doversi fare carico a tempo indefinito del contraccolpo che tali assenze cagionano all’organizzazione aziendale.
Secondo i Giudici di legittimità, detto termine non può essere identico per tutti i dipendenti, dovendo essere differenziato per i lavoratori portatori di handicap, a fronte dei rischi di maggiore morbilità quale conseguenza della disabilità.
In tali circostanze, per la sentenza, il criterio, in apparenza neutro, del computo del periodo di comporto breve si trasformerebbe in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto (i lavoratori disabili), siccome in posizione di particolare svantaggio.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della società, confermando l’illegittimità del recesso dalla stessa irrogato.