Con l’ordinanza n. 10267 del 16.04.2024, la Cassazione afferma che la illegittima collocazione del lavoratore in cassa integrazione e la, conseguente, inattività dello stesso, creano al dipendente un danno alla professionalità che deve essere ristorato anche in via equitativa.
Il fatto affrontato
La lavoratrice ricorre giudizialmente al fine di richiedere il risarcimento del danno alla professionalità per tutto il periodo di illegittima sospensione in CIG.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, riconoscendo, via equitativa, alla ricorrente la somma pari al 30% della retribuzione mensile netta.
L’ordinanza
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che la lavoratrice illegittimamente posta in CIG, oltre all’integrazione della retribuzione, ha diritto a vedersi riconosciuto un separato risarcimento per danno alla professionalità.
Invero, continua la sentenza, l’esistenza di detto danno deriva direttamente dalla inattività forzata, stante che l’impossibilità di svolgere la prestazione professionale crea una doppia lesione.
In particolare, secondo i Giudici di legittimità, una tale situazione, da un lato, lede all’immagine professionale e, dall’altro, cagiona il depauperamento del patrimonio professionale, rendendo, conseguentemente, più difficile la ricollocabilità del dipendente sul mercato del lavoro.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società e conferma la debenza del risarcimento del danno richiesto dalla lavoratrice.