Consiglio di Stato: proroga concessioni balneari al 2024 illegittima.
È illegittima qualsiasi proroga automatica sulle concessioni balneari, compresa quella fino al 31 dicembre 2024 disposta dal decreto milleproroghe. Lo ha affermato la sesta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 2192 del 1° marzo scorso.
Il Consiglio di Stato si è espresso su un ricorso presentato dall’Autorità garante della concorrenza contro il Comune di Manduria. A novembre 2020, con una delibera di giunta, aveva disposto l’estensione delle concessioni balneari fino al 2033. L’Agcm, ritenendo l’estensione al 2033 in contrasto col diritto europeo, in quel periodo aveva presentato svariate diffide contro i Comuni che avevano applicato la proroga al 2033, tra cui quello di Manduria. Non essendosi quest’ultimo adeguato ai rilievi dell’Antitrust, il garante della concorrenza aveva deciso di impugnare la delibera innanzi al Tar di Lecce, il quale però ha respinto il ricorso. Ma l’Agcm non ha accettato la decisione del tribunale amministrativo salentino e si è rivolto al Consiglio di Stato.
La decisione di Palazzo Spada.
La decisione di Palazzo Spada Con sentenza n. 2192 pubblicata il 1° marzo scorso, la sesta sezione del Consiglio di Stato ha dato ragione all’Autorità garante della concorrenza, citando ampiamente la sua pronuncia emessa in adunanza plenaria a novembre 2021, che nel frattempo aveva dichiarato illegittima la proroga al 2033 e proibito qualsiasi ulteriore rinnovo automatico sulle concessioni balneari.
Le motivazioni di Palazzo Spada esordiscono con un’imbeccata contro il Tar di Lecce presieduto dal giudice Antonio Pasca. «La questione controversa – affermano i massimi giudici amministrativi – è stata già oggetto di interpretazione da parte della Corte di giustizia Ue e gli argomenti invocati per superare l’interpretazione già resa dal giudice europeo non appaiono idonei a indurre ragionevoli dubbi, come confermato anche dal fatto che i principi espressi dalla sentenza Promoimpresa sono stati recepiti da tutta la giurisprudenza amministrativa nazionale sia di primo che di secondo grado, con l’unica isolata eccezione del Tar Lecce».
Nelle successive pagine, il Consiglio di Stato non fa dunque che confermare i dubbi espressi dall’Antitrust e ribadire che le proroghe sulle concessioni balneari – con cui lo Stato italiano ha gestito la materia negli ultimi tredici anni – sono contrarie alla direttiva europea Bolkestein e al Trattato fondativo dell’Unione europea, in quanto rappresentano dei rinnovi automatici ai medesimi titolari. E pertanto devono essere disapplicate.
Proroga al 2024.
Nella decisione del Consiglio di Stato rientra anche la proroga al 2024 appena approvata dal parlamento, a cui Palazzo Spada dedica un passaggio esplicito: «Sulla base di quanto affermato dall’adunanza plenaria, con le ricordate sentenze n. 17 e 18 del 2021, non solo i commi 682 e 683 dell’art. 1 della legge n. 145/2018, ma anche la nuova norma contenuta nell’art. 10-quater, comma 3, del D.L. 29/12/2022, n. 198, conv. in L. 24/2/2023, n. 14, che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere, si pone in frontale contrasto con la sopra richiamata disciplina di cui all’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE, e va conseguentemente disapplicata da qualunque organo dello Stato».
Subito dopo, il Consiglio di Stato si addentra anche in una lunga considerazione atta a smentire la tesi della scarsità della risorsa spiaggia. I giudici sottolineano che «nel settore delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative, le risorse naturali a disposizione di nuovi potenziali operatori economici sono scarse, in alcuni casi addirittura inesistenti, perché è stato già raggiunto il – o si è molto vicini al – tetto massimo di aree suscettibile di essere date in concessione». E nel caso specifico del litorale di Manduria, Palazzo Spada fa presente che, dal momento che «l’arenile concedibile per finalità turistico ricreative è di appena 3 km, di cui 500 metri già assegnati in concessione, deve ritenersi che nel detto Comune sia dimostrata la scarsità del bene di che trattasi».