Il dirigente medico, una volta cessato il rapporto di lavoro, ricorre giudizialmente al fine di ottenere la somma di € 45.131,27 a titolo di indennità sostitutiva di numero 157 giornate di ferie maturate e non godute.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo che il ricorrente con le sue dimissioni, aveva rinunciato anche alle giornate di ferie non ancora prescritte.
L’ordinanza
La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva che la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi soltanto qualora il datore offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie.
Per la sentenza, detto invito deve essere formale e deve contenere l’avviso che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.
Secondo i Giudici di legittimità, quindi, nessun valore di rinuncia all’indennità sostitutiva delle ferie può essere automaticamente attribuito alle dimissioni del lavoratore, atto volontario posto dalla disciplina sullo stesso piano delle altre vicende risolutorie del rapporto di lavoro.
Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dal lavoratore e riconosce la debenza dell’indennità sostitutiva delle ferie.